(…Non esiste più uno scontro ideologico tra fascisti e comunisti, o tra destra e sinistra, ma tra globalisti e identitari.
La Russia di oggi si richiama persistentemente ai valori eterni della spiritualità, del patriottismo, della famiglia, e per questo rappresenta il nemico principale dell’ideologia globalista…)
Abbiamo intervistato Giulia Lipari, politologa, curatrice e traduttrice editoriale italo-russa recentemente in visita presso i territori del Donbas per l’associazione culturale Vento dell’Est, già impegnata in progetti culturali e geopolitici.
Il colloquio, oltre ad offrire uno spaccato su una delle zone più incandescenti del pianeta vuole arricchire lo sguardo su un conflitto che da oltre dieci anni insanguina l’Europa e gli europei, contesto che è di fatto oggetto di evidenti, quanto conclamate, storture propagandistiche, come purtroppo prevedibile in ogni conflitto.
Questo scontro ha però per oggetto l’Europa, i suoi popoli, la sua identità e il suo destino, i cui esiti, per una loro definitiva rinascita, da italiani ed europei custodiamo negli auspici più liberi e sinceri.
Valerio Savioli
VS: Giulia, sei recentemente tornata da un viaggio in Donbas dove hai trascorso del tempo e hai potuto vedere, coi tuoi occhi, la situazione in loco dopo anni di guerra. Prima di procedere ti chiedo la cortesia di presentarti ai nostri lettori.
GL: Mi chiamo Giulia Lipari, ho trent’anni, sono nata ad Assisi, da madre russa e padre italiano, sono laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali.
Per un mistero che è noto solo ai russi, semplicemente nascere russa anche solo a metà mi è bastato per amare follemente la Russia e tutto ciò che la riguarda: la lingua, la storia, la letteratura. Per me la Russia è una grande storia d’amore, ogni volta tornarci è come tornare a casa.
Di conseguenza, i miei studi, le mie letture, i miei interessi hanno sempre riguardato la Russia, la sua storia e la sua politica estera in particolare. Ho tradotto per AGA “Geopolitica” di Aleksandr Dugin e “La visione comune eurasiatica” per Anteo Edizioni, con cui sto lavorando ad altri progetti. Faccio parte di Vento dell’Est, un’associazione di volontariato che opera in Donbass dal 2022.
VS: Cosa ti ha spinto a questa trasferta e cosa ci puoi raccontare di questa tua esperienza?
GL: Ho sempre voluto andare in Donbass, ancora prima del 2022, perché volevo vedere con i miei occhi quello che potevo solo leggere dai pochi reporter italiani in loco o da quello che riuscivo a sapere dai miei amici originari di quei luoghi e che avevano lì dei parenti. Chiaramente non si sta parlando di uno dei viaggi più semplici da organizzare, è abbastanza faticoso (soprattutto ora senza voli diretti) e, comprensibilmente, impossibile al momento senza contatti con gente del posto.
Quindi, appena il presidente dell’associazione Vento dell’Est mi ha detto che c’era per me la possibilità di andare a Lugansk, ho detto subito che volevo partire.
Dopo aver fatto scalo a Istanbul, sono arrivata a Mosca e da lì 12 ore di macchina, più diverse ore alla frontiera per i controlli necessari.
Ho realizzato così un desiderio che avevo da anni, e ringrazio tanto Lorenzo Berti e i nostri contatti a Lugansk per questo, e non vedo l’ora di poter tornare presto in missione con Vento dell’Est. Da Lugansk sono tornata in Italia portando con me ricordi di persone meravigliose.
Capisco che possa sembrare stucchevole, ma sono stata accolta con un calore e un affetto che non mi aspettavo, per quanto questo sia un tratto tipico russo a cui pensavo di essermi abituata. Soprattutto non mi aspettavo di vedere una città così piena di vita nonostante le circostanze, in ricostruzione, piena di bambini piccoli e di giovani. Gli incontri con quest’ultimi mi hanno colpito particolarmente, sia coi giovani dell’università statale Dalia, sia con i membri di Molodaya Gvardia, il movimento giovanile del partito di Russia Unita: bellissimi ragazzi e ragazze puliti, sereni, coraggiosi, patrioti, pieni di energia e di vita, sempre col sorriso, nonostante dieci anni di guerra alle spalle, nonostante qualcuno di loro avesse visto la propria casa distrutta da un (fortunatamente inesploso), o addirittura avesse già fatto in tempo a servire al fronte, come mi è stato raccontato. Certo il contrasto tra questi ragazzi e la maggior parte dei ragazzi italiani che vedo per strada, è stato un po’ forte. Siamo rimasti in contatto con questi ragazzi e abbiamo in cantiere diversi progetti con loro.
VS: Venendo dall’Italia, quante delle informazioni diffuse sul mondo della comunicazione mainstream corrispondono a quello che hai potuto vedere?
GL: Non leggo molto i giornali italiani, è da quando ho 16 anni che litigo con i media nostrani e con certi commedianti per le fake news che diffondono (alcuni fanno persino parte di comitati europei anti fake-news, è esilarante).
Viviamo nel Paese in cui Emma Farnè pretende di fare fact cheking in tv a Rainews24 definendo il battaglione Azov un battaglione “nazionalista di estrema destra prorussia” (cito testualmente), e poi dall’alto di questa sua impeccabile comprensione della situazione in cui si trova ci racconta la guerra, com’è secondo lei. Di esempi simili ne potrei fare a dozzine e non parleremmo di altro.
Vorrei poter dire che il giornalismo italiano ha toccato il fondo riguardo alle fake news sulla Russia durante questa guerra ma, per mia esperienza personale, non è che prima del 2022 le cose andassero tanto meglio. Quello che posso dire è che per i primi otto anni di conflitto in Donbass dovevo o guardare i tg russi che coprivano quotidianamente la questione, o talk show russi (come Vremia Pokazhet, in cui spesso erano invitati giornalisti ucraini e polacchi a intervenire), o seguire i social di chi viveva lì, perché nei media italiani per 8 anni dei morti del Donbass non c’è stata praticamente traccia, fatta eccezione per qualche articolo sui gruppi neonazisti ucraini (gli stessi gruppi che, sempre secondo la nostra stampa, non esistevano, quando Putin fece notare il problema e la collusione del governo di Kiev). Di certo, nessun giornalista italiano che lavora per le testate mainstream potrà mai visitare Lugansk, perché dovrebbe ammettere quello che ho notato io, e cioè che si sta parlando di una città russa, di un popolo che parla russo, prega in russo, sostiene la Russia, che si vanta ed è orgoglioso di appartenere alla storia russa. Quelle persone hanno combattuto e sono morte per il loro diritto di essere russi, e ne sono fieri. E questo, sui giornali italiani del Mentana di turno, ovviamente non si può dire.
VS: La trasferta in Donbas è stata organizzata dall’associazione Vento dell’Est, cosa puoi dirci di questa realtà?
GL: La visita a Lugansk è stata organizzata dall’associazione Vento dell’Est, di cui faccio parte e ho avuto il piacere di rappresentare in questa circostanza. Ufficialmente è nata nel 2022, ma i suoi membri erano attivi per fare volontariato in Donbass da molto prima.
L’associazione si occupa in Donbass di individuare le situazioni più delicate (aiutare anziani o bambini), raccogliere i fondi e intervenire in loco; finora si è occupata di partecipare alla costruzione di piccoli parchi gioco per bambini, ristrutturazione di una scuola, distribuzione di aiuti umanitari alle fasce più delicate della popolazione (anche se ora è un’attività molto meno necessaria grazie al governo russo). In Italia è molto attiva tramite conferenze, mostre fotografiche (come quella di Vittorio Rangeloni), incontri per raccontare la realtà che in Italia viene censurata sistematicamente (ad esempio riguardo la persecuzione in atto da parte del governo ucraino contro preti e credenti della Chiesa Ortodossa in Ucraina), nonostante le ovvie difficoltà del caso e i tentativi di censura nella democraticissima e pluralista Italia. Si può facilmente immaginare tutte quelle piccole malignità del caso, come le insinuazioni sui giornali e le accuse di propagandismo (magari pure a pagamento), gli eventi cancellati o le disponibilità delle sale ritirate all’ultimo (quando concesse) che tutti conosciamo. Recentemente però, è stato alzato il tiro e il conto corrente dell’associazione dedicato alla raccolta fondi è stato chiuso senza spiegazioni. Ovviamente ciò non ferma il lavoro di Vento dell’Est, anzi.
VS: Esiste un episodio, in particolare, accaduto durante il tuo viaggio, o qualcosa che ti ha colpito profondamente che ti piacerebbe raccontare?
GL: Come ho già detto, la cosa che mi ha colpito di più sono stati i giovani ragazzi (dai 18 ai 23 anni) con cui ho parlato.
Durante uno degli incontri è sorto spontaneo domandare loro con che occhi ci guardassero, sapendo che le nostre tasse andavano a finanziare un governo che sta cercando di “estirparli come un tumore” (per citare le dichiarazioni ufficiali del ministro ucraino Aleksey Reznikov nel 2020), e che stavamo aiutando quel governo a comprare le armi con cui fino a poco tempo fa venivano sistematicamente bombardati. La serenità e la saggezza della risposta che mi hanno dato i ragazzi mi ha colpito nel profondo: “Capiamo bene che non necessariamente le scelte di pochi al governo rispecchiano ciò che pensa o vuole un popolo. Probabilmente se gli italiani sapessero cosa abbiamo vissuto, non sarebbero soltanto contro questa guerra, ma contro tutte le guerre in generale.”
A leggerla ora, al lettore sembrerà una risposta degna di Miss Universo che chiede la pace nel mondo come suo più grande desiderio durante il concorso, il lettore deve fare lo sforzo di mettersi nei panni miei e di quel ragazzo, per coglierne la saggezza profonda: da un lato ci sono io che faccio la domanda con un dolore al petto a pensare che il nostro governo sta praticamente finanziando il potenziale massacro di questi ragazzi che mi trovo davanti; dall’altra ci sono ragazzi che negli ultimi 10 anni hanno visto una distruzione, una miseria, una cattiveria che noi qui in Italia non possiamo neanche immaginare. E io ho sempre pensato che, se per dieci anni non avessi visto altro che odio e distruzione per colpa del mio avversario, avrei odiato di conseguenza chiunque stesse dalla sua parte, indirettamente o meno, e soprattutto avrei coltivato dentro una rabbia e un dolore dilanianti.
Invece, questo ragazzo di vent’anni, con tutta la serenità e calma possibili, mi risponde che capisce perfettamente tutta la situazione, che non ci odia e non ci giudica, e che qualsiasi essere umano sano è contrario a qualsiasi guerra. A
vrei voluto registrarlo e farlo sentire ai galli da combattimento nei nostri salotti tv tanto impegnati nel tifo da stadio più becero e vergognoso della storia mediatica italiana, e ai guerrafondai ultracinquantenni che inneggiano alla terza guerra mondiale seduti dal proprio divano, ben sapendo che tanto il fronte non lo vedranno mai.
VS: Deduciamo che le popolazioni del Donbas che hai incontrato vi abbiano chiesto di raccontare, in occidente, anche l’altro lato della narrazione, la loro versione della storia.
GL: Alle popolazioni del Donbass fa piacere vedere che ci sono italiani che si sforzano di aiutarli, però lo slancio di portare le loro storie in Italia è più un’esigenza nostra che loro.
Anzi, molti di loro sono comprensibilmente reticenti a parlare delle loro storie e dei loro traumi, e spesso diffidano di chi si presenta come giornalista, a maggior ragione se straniero.
A loro non cambia molto se in Italia sappiamo o meno cosa hanno patito negli ultimi dieci anni.
A loro importa finalmente essere russi. Se devono “chiedere”, chiedono qualcosa alla patria che li ha finalmente riaccolti a casa dopo trent’anni. Portare le loro storie in Italia è un’esigenza più nostra, per amore di Verità e di giustizia, perché è giusto che gli italiani sappiano sia come vengono sperperati i loro soldi, sia di quali crimini si è macchiato e si macchia chi è sostenuto dal nostro governo. Visto che in Europa si parla sempre di più di prepararsi alla guerra, è bene che si sappia quanti uomini Kiev è disposta a mandare a morire per riprendere dei territori che non vogliono essere ripresi, in barba a qualsiasi principio di autodeterminazione dei popoli, e quanti soldi verranno chiesti agli europei per finanziare questa follia. Almeno gli italiani sapranno esattamente perché i loro figli dovranno continuare a frequentare scuole fatiscenti e la lista d’attesa per qualsiasi tipo di operazione in ospedale li obbligherà a curarsi privatamente, nonostante le tasse profumatamente pagate.
VS: Quali sono le giornate tipo di una ragazza della tua età che vive in Donbas?
GL: Non posso ovviamente parlare di tutto il Donbass, che è un territorio enorme; la vita cambia radicalmente a seconda della zona in cui ci si trova e di quanto sia vicino il fronte. A Lugansk la vita è abbastanza tranquilla adesso.
Il governo russo ha costruito e costruisce, ha rifatto tutte le strade (per diversi tratti il manto stradale è mille volte meglio che in Umbria, non scherzo), costruisce palestre, piscine, scuole.
Le università sono aperte, come i negozi di abbigliamento, di scarpe, i centri commerciali, i supermercati, i centri estetici, i bar e i ristoranti.
Un ragazzo, o una ragazza, a Lugansk può studiare, fare sport, uscire e fare compere. La sera ci sono dei locali e ci sono le serate karaoke, come a Mosca e a San Pietroburgo. Alle 22 c’è il coprifuoco.
VS: Ora qualche breve quesito di natura geopolitico. Come associazione Vento dell’Est che tipo di pace immaginate o auspicate per il conflitto in atto?
GL: Come Vento dell’Est, come esseri umani, ci auspichiamo che il conflitto trovi fine il prima possibile, ovviamente perché, se Kiev vive in guerra da tre anni, la popolazione del Donbass convive con questa terribile realtà da dieci. Chi parla di riprendere la Crimea e i territori del Donbass è un folle che non si è mai posto tre domande fondamentali: Kiev è in grado di riprendere quei territori manu militari, anche con tutto l’aiuto europeo? Le popolazioni del Donbass e della Crimea vogliono tornare a far parte dell’Ucraina, si sono mai sentite ucraine?
Ma soprattutto, qualcuno fermerebbe Kiev, se dovesse mai riprendere quei territori, dal massacrare tutti i filorussi e russofoni (oramai, più semplicemente russi) in quelle regioni, come il governo ucraino ha fatto ogni volta che ha riconquistato una regione o territorio in questa guerra?
La risposta a queste domande è una: no.
La frattura ideologica ormai è insanabile, ci vorranno decenni per risolverla, e forse non si risolverà mai. Chi abita in Crimea, a Lugansk, a Donetsk, l’Ucraina non la vuol sentire nemmeno nominare, guardano al futuro, e per loro il futuro è la Russia. Oltretutto, nessuno ne parla ma di fatto lo Stato ucraino è già finito: demograficamente è inesistente.
Tutti gli uomini in età riproduttiva sono o morti al fronte, o sono mutilati, o stanno combattendo e quindi rischiano di morire; chi poteva è fuggito in Europa (come la maggior parte delle donne in età fertile e dei bambini) e nessuno tornerà mai in uno Stato economicamente fallito.
Nella maggior parte delle statistiche pubblicate a riguardo (persino in Italia qualcuno si è accorto di questo enorme problema), che mostrano chiaramente questa catastrofe demografica, vengono ancora conteggiate le popolazioni del Donbass come facenti parte dell’Ucraina e non ormai russe (e si parla di altri 6-7 milioni di persone circa).
L’Ucraina da questa guerra ne uscirà sconfitta in ogni caso, economicamente fallita, indebitata, demograficamente inesistente, e corrotta fino al midollo. Gli americani l’hanno scaricata, con tutta la realpolitik di cui sono capaci, il problema adesso è Londra (come è sempre stato), che dopo aver fatto saltare gli accordi di Istanbul, continua a sabotare potenziali accordi di pace.
VS: Pensi che in futuro sarà possibile che tra Europa e Russia i rapporti tornino alla normalità?
GL: Non so quanto ci metteranno i rapporti tra Europa e Russia a tornare alla normalità.
La russofobia che ha imperversato negli ultimi anni è un fenomeno ciclico, che sistematicamente ogni tot anni si ripresenta in Europa; quindi, in teoria la storia ci indica che i rapporti andranno a migliorare di nuovo. Basterebbe andare a vedere gli articoli e dichiarazioni deliranti che uscivano in Inghilterra e non solo ai tempi della Guerra di Crimea (1853-56) per rendersene conto, e anche in quel caso la russofobia fu pompata e diffusa ad arte (per volontà inglese) per preparare le masse europee alla guerra contro la Russia in Crimea.
Da italiana mi vergogno nel constatare che nei primi sei mesi del 2022, il nostro Paese non è che abbia fatto eccezione, seppur la situazione non abbia mai toccato l’isterismo e il razzismo che ho visto in altri Paesi europei.
La censura di artisti, di opere letterarie nelle università, la discriminazione fino ai -rarissimi ma comunque vergognosi- casi di violenza fisica, rimangono ben impressi nella mia memoria con dolore e rammarico, soprattutto alla luce del fatto che la Russia invece si è sempre dimostrata disponibile ad aiutare l’Italia ogni volta che ce n’era necessità: mi limito a ricordare il periodo di pandemia, sebbene qualche giornalista italiano abbia provato a dimostrare che i russi erano appositamente venuti a spiare i nostri anziani nelle rsa; ma chiunque non sia profondamente fazioso sa che la lista è lunga (gli aiuti nel 2016 ai terremotati italiani e non solo).
La verità è che la maggior parte degli europei è profondamente ignorante riguardo la Russia, riguardo alla sua complessa storia, ricca letteratura e sconfinata arte. E da ignorante, è profondamente razzista. La russofobia ha quindi terreno fertile con questi soggetti, soprattutto fuori dall’Italia.
Per quanto riguarda la Russia invece, ora è il momento di usare fino all’ultima risorsa per trasformare questa catastrofe umanitaria e geopolitica nell’occasione di affermarsi finalmente come guida del CSI, come leader di quella zona del mondo che Mackinder definiva Heartland, l’Eurasia.
Alla Russia auguro di realizzarsi come grande potenza eurasiatica, integrarsi il più possibile a livello economico, militare, politico e strategico con i Paesi della Comunità degli Stati Indipendenti (quello che per Toal[2] è l’“estero vicino” della Russia).
È questo il suo destino, la realtà che le è più naturale, più armoniosa, più congeniale. Realizzato questo, si potrà eventualmente dialogare poi con i Paesi Europei.
A livello commerciale sicuramente sarebbe più comodo e proficuo per tutti ricucire i rapporti, ma la Russia in questa Europa non ha un futuro. Questa Europa non vuole che la Russia esista se non alle sue folli condizioni, ossia a quelle condizioni di cui scriveva Brzezisnki ancora nel ’91 ne La Grande Scacchiera, sottomessa, a pezzi, non più sovrana.
A Mosca ho avuto modo di vedere una mostra dedicata alle opere di Ili’ja Glazunov, un pittore che ha immortalato molto eloquentemente cosa sono stati gli anni ’90 per la Russia: liberalismo senza controllo, banditismo, droga, alcolismo, prostituzione, compravendita di bambini russi e dei loro organi. Guarda caso erano gli anni in cui Russia e Occidente andavano tanto d’accordo; ho paura che per la stragrande maggioranza dell’attuale élite europea, l’unico futuro auspicabile per la Russia sia ancora una volta quell’inferno lì.
VS: Infine, una riflessione sull’Europa e sulla cosiddetta “destra radicale” italiana. Da tre anni a queste parte un’area politica, magari numericamente marginale ma con al suo interno energie intellettuali e movimentistiche non comuni, si è ingessata su una contrapposizione difficilmente rimarginabile. Intravedi una possibilità che in futuro si possa arrivare a un punto di sintesi che possa magari contemplare un recupero storico-identitario dell’Europa teso a dialogare, alla pari, con la Russia e ad emanciparsi dall’ingombrante presenza statunitense tuttora presente sul suo suolo?
GL: La guerra in Ucraina è stata affrontata in Italia con la superficialità e il fanatismo del tifo da stadio, e chi fa tifo da stadio dietro a un computer o nei salotti tv non ha la mia considerazione.
Chi invece ha deciso di combattere per un’idea, contraria alla mia, ha il mio rispetto, ma di certo non gli auguro buona fortuna.
In parte posso sforzarmi di comprendere gli italiani che hanno avuto attacchi di orticaria vedendo sventolare le bandiere della Vittoria (casualmente gli stessi non notano mai quelle che sventolano il Cristo, ma magari il Cristo a loro manco fa piacere vederlo sventolare su una bandiera perché venerano nelle foreste durante i solstizi Odino o qualche altro dio pagano) mentre i soldati russi avanzavano, peccato solo che quelle bandiere abbiano poco a che fare col comunismo dal punto di vista ideologico.
Sono bandiere che ricordano l’enorme sacrificio dei 20 milioni di morti che ha condotto la Russia alla vittoria nella Grande Guerra Patriottica, non sono un omaggio alle opere di Marx (e infatti riportano sempre l’anniversario della data della guerra, quasi mai solo la falce e il martello).
Sono una testimonianza costante dei sacrifici che i russi sono disposti a pagare pur di vincere una guerra.
Oltretutto, non capisco seriamente come ci si possa considerare patriota, identitario o simili e poi sostenere chi ha una kill list (Mirotvoretz) piena di nostri connazionali da ammazzare, quando da parte russa non esiste nulla del genere.
È particolarmente comico vedere alcuni sedicenti autoproclamati detentori dell’ortodossia ideologica della destra radicale che vanno in brodo di giuggiole per il battaglione Azov, quando questo ha come referenti istituzionali la Picierno e la Boldrini, ed è stato costituito e continua ad esistere grazie ai finanziamenti dell’oligarca ebreo Kolomoysky.
La realtà è che il mondo cambia rapidamente e ha superato gli schieramenti del 1945.
Non esiste più uno scontro ideologico tra fascisti e comunisti, o tra destra e sinistra, ma tra globalisti e identitari.
La Russia di oggi si richiama persistentemente ai valori eterni della spiritualità, del patriottismo, della famiglia, e per questo rappresenta il nemico principale dell’ideologia globalista fatta di cosmopolitismo, gay pride e cultura woke.
Non è un caso che nel giorno di Pasqua nel centro di Kiev si svolgesse un festival cinematografico LGBT, mentre la Chiesa Ortodossa Ucraina, principale fede religiosa nel paese, veniva messa fuorilegge.
Non so che in misura si possa arrivare a una sintesi con chi legge la realtà con lenti tanto diverse dalle mie.
Per parlare di rapporti alla pari con la Russia, l’Europa dovrebbe prima passare attraverso un cambio talmente radicale, talmente profondo, tagliare così drasticamente con la malsana influenza angloamericana che non riesco a credere che sia attualmente fattibile. Forse, vedendo con che facilità gli Stati Uniti, dopo aver lavorato su questa guerra per anni e averci investito miliardi, hanno scaricato la patata bollente ucraina in mano agli europei, la prossima volta quest’ultimi ci penseranno due volte prima di permettere agli angloamericani di sconvolgere determinati equilibri geopolitici sulla pelle degli ucraini, dei russi e con i soldi degli europei.
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