di Carla Peroni
@carlitanmrec
L’oscurità e la debolezza di questa epoca storica, probabilmente una delle peggiori mai vissute dall’essere umano, è più che mai evidente in quei paesi a forte spinta capitalistica e quindi tutti i paesi in cui si maschera la debolezza dello stato grazie all’irrigidimento delle punizioni, creando nuovi reati anziché promuovere vere opportunità.
Già 10 anni fa, il grande giurista Gustavo Zagrebelsky sosteneva che la detenzione fosse un retaggio della premodernità che non si limita a togliere all’essere umano la libertà, ma anche e soprattutto il diritto dell’uomo a godere del proprio tempo. Riflettiamo su questo aspetto fondamentale, focalizziamoci sul fatto che delle persone siano costrette a vivere sospese in attimo eterno senza contorni. Che atroce tortura questa, peggio forse anche della pena di morte.
In questi ultimi anni si è poi accentuato il senso di una cosiddetta giustizia di classe che si traduce in un carcere come discarica sociale in cui vengono rinchiusi soggetti che sono considerati rifiuti, al di là del reato commesso.
Il carcere è un luogo di potere in cui chi è recluso si ritrova sotto il dominio altrui, da quello dello stato e della collettività, a quello delle guardie carcerarie senza che nessuno badi al fatto che in carcere si va perché puniti, non per essere puniti in carcere.
L’aggravante è che anche chi non si trova in carcere, ma è legato al detenuto da vincoli di amicizia o parentela, si trova sottomesso e sbeffeggiato dalla tracotanza di questo potere abusato.
I diritti costituzionali e civili non possono e non devono essere sospesi, se ne facciano una ragione i forcaioli dell’ultim’ora.
Come diceva Mino Martinazzoli nel commentare le lezioni di Aldo Moro sul senso della pena, bisogna cercare non tanto un diritto penale migliore, ma qualcosa di migliore del diritto penale.
Questo concetto è così elevato da risultare incomprensibile ai “garanti dell’ordine”, agli sceriffi alla law&order, ai giustizialisti ad ogni costo, a quelli che per intenderci auspicano il carcere anche per le infrazioni più banali (ovviamente mai le loro, sempre quelle altrui).
Il continuo ricorso a leggi speciali e d’urgenza sta dando vita a quella che viene definita democrazia emotiva ma che è in realtà una dittatura
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