Roberto Pecchioli
Ai nostri occhi l’aspetto peggiore del sabba mediatico montato attorno alla morte di Jorge Mario Bergoglio è stato l’elogio progressista – laicista e ateo – al cosiddetto “papa degli ultimi”. Abbiamo trovato vomitevole – il lettore scusi l’incontinenza verbale – ridurre un pontificato alla preferenza per quella equivoca categoria umana e soprattutto il fatto che l’entusiasmo verso le “periferie esistenziali” (il nome colto degli ultimi) provenga da ambienti materialmente ricchi, gente tutt’altro che ultima per reddito, stile di vita, gusti, lontana persino fisicamente – se non per il personale di servizio – dal mondo di sotto, quello a cui appartengono gli ultimi. Sin troppo facile rammentare la coscienza infelice – nel senso marxista – di codesta post-borghesia decomposta, senza valori, soddisfatta di sé, assai attenta a conservare i privilegi dello status e del denaro, convinta di risolvere i problemi del mondo con formulette sentimentali che le permettono di considerarsi buona, giusta, al passo con i tempi. Una mano sul cuore e l’altra bene afferrata al portafoglio.
Rimandiamo a un esame più strutturato l’analisi di questa classe-non classe, autentica infezione contemporanea, e ci schieriamo risolutamente dalla parte dei penultimi, di quelli che non si atteggiano a vittime, di chi tira la vita ogni giorno con dignità, di chi è normale, onesto, di chi si sacrifica senza sentirsi un eroe. La vittima è l’eroe del nostro tempo. Finto, ovviamente, giacché chi elogia gli ultimi se ne tiene a debita distanza. E se poi gli “ultimi” sono omosessuali, transessuali, immigrati, la definizione è capovolta. La dittatura moralistica ne fa dei feticci, meritevoli di privilegi nel magico mondo progressista e in quello contiguo, parallelo, della neo-chiesa. Sarà per questo che i penultimi, i terzultimi e molti altri hanno voltato le spalle a chi eleva altari ai “dannati della terra” (Frantz Fanon).
Chi scrive è un penultimo tra i tanti. Ha potuto studiare grazie al sacrificio di genitori di modesta condizione e solidi principi. Che gli hanno insegnato l’amore per la famiglia, per la patria e perfino per Dio (il grande assente della narrazione bergogliana), inculcato il valore del lavoro, dello studio, dell’onestà. Lo hanno fatto con l’esempio, non con i paroloni degli intellettuali. Il vostro scrivano è un penultimo che ha lavorato tutta la vita, ha accettato le proprie responsabilità, si è guadagnato un tenore di vita dignitoso, non certo agiato. È sposato con una donna (!!), la stessa da decenni, è incensurato e non gode di particolari diritti sociali. Non è abbastanza ultimo per richiederli o rivendicarli. Il suo compito, uguale a quello di milioni di altri, è pagare e tacere mentre qualcun altro “hiagne e fotte”. Come milioni di penultimi, cerca di sbrigarsela da solo; quando è in difficoltà pensa soprattutto a rimboccarsi le maniche. Non si sente vittima se fa qualche sacrificio: papà lavorò di notte per oltre trent’anni, mamma cuciva per aiutarlo a comprare con fatica un piccolo appartamento; molti hanno avuto una sorte più dura.
I penultimi non piangono, stringono i denti. Non si sentono eroi perché non lo sono. Semplicemente vivono e vestono panni. Tutto conquistato, nulla di regalato. Non odiano nessuno ma non possono accettare di vedere sfigurate le loro città da un’immigrazione selvaggia, proterva, ed essere chiamati malvagi, egoisti, razzisti se non ci stanno. Non gradiscono che i malfattori vincano sulle persone per bene, se la cavino quasi sempre e li prendano in giro. Sono furiosi che le loro tasse – tante, troppe – siano usate per ingrassare classi dirigenti corrotte, finanziare ogni genere di ingiustizia, preparare una guerra insensata. Vorrebbero vivere a modo loro, non alla catena di chi esalta gli ultimi e continua a essere primo. I penultimi tirano la carretta e mantengono gli uni e gli altri. Lo diciamo con forza senza alcuna coscienza infelice.
È per la nostra mitezza che il sistema non crolla, è per la nostra generosità che tanti sopravvivono. Solo, non amiamo esibirci. Sono i penultimi a fare beneficienza, volontariato, tirare la carretta, mantenere unita la comunità, svolgere in silenzio compiti che spetterebbero ad altri. Sono i supplenti dello Stato e dell’egoismo privato. Non lo dicono, non lo ostentano, ne hanno le scatole piene di retorica melensa, di menzogne travestite da bontà. Se si difendono da un’aggressione, da un oltraggio, da una rapina, se proteggono la famiglia o gli averi sono chiamati criminali, egoisti, assassini. L’inversione tra vittime e colpevoli è disgustosa; ai penultimi non si accordano mai attenuanti o esimenti, solo aggravanti. Solo gli altri, i sedicenti ultimi – tra i quali i mascalzoni promossi a vittime – hanno diritto a giustificazioni, addirittura a diventare modelli.
Modelli, per noi penultimi, sono gli usi e i costumi migliori dei padri, della nostra gente, della tradizione civile e spirituale di cui siamo figli. Perché siamo noi a doverci adattare, con l’obbligo di chinare il capo? Non ci stiamo. Modelli sono i padri e le madri di famiglia che educano ogni giorno i figli; modello è il pendolare che si alza prima dell’alba per raggiungere il posto di lavoro, il giovane che si dà da fare nel mercato della precarietà e dello sfruttamento. Modelli sono i nonni che si prendono cura dei nipoti insegnando principi diversi dalle sciocchezze del coro dominante. Modelli sono tutti coloro che fanno bene il loro lavoro, pagano il biglietto nel viaggio della vita, tengono pulito il mondo, materialmente e moralmente.
Il rispetto per chi soffre e non ha nulla è stato sempre solidarietà naturale, comunitaria, ma a partire dai vicini, da chi è come noi. Perché dovremmo preferire i lontani, chi non conosciamo, chi ci ingiuria e ha solo pretese? Il primo impegno verso gli ultimi è aiutarli a non essere più tali, nel corpo e nello spirito. È quello che fece don Bosco che trasse dalla strada i bambini poveri e abbandonati insegnando concretamente la dignità del lavoro, non i viziati ( e spesso viziosi) seguaci delle idee alla moda, i sociologi da salotto per i quali tutto è colpa della società, mai di chi commette il male.
Non è certo casuale la convergenza tra il livello più elevato della società e chi esalta gli ultimi. Gli uni conservano privilegi e potere in cambio di parole roboanti, nobili quanto ipocrite. Gli altri alimentano la coscienza infelice dei falsi buoni e rilanciano continuamente il ricatto nei confronti dei penultimi, dei normali, degli onesti. Intanto la società nel suo complesso si degrada, perde coesione mentre avanzano brutture e bruttezze, disagio esistenziale, arroganza dei primi e degli ultimi. L’ aria si fa irrespirabile per milioni di persone normali. La preferenza ostentata dalla chiesa nei confronti di talune categorie, il moralismo estraneo alla morale comune, l’insistenza sui temi migratori contro i popoli europei – culla del cristianesimo! – l’evidente distanza tra i proclami e le condotte reali sono, insieme con il silenzio su Dio e il destino dell’uomo, i detonatori di una crisi spirituale di cui il generico richiamo agli ultimi, gradito soprattutto ai nemici di sempre che infatti applaudono Bergoglio ridacchiando, è l’inutile coperta di Linus.
Per usare il linguaggio clericale, accolgono le pecorelle smarrite ma lasciano fuggire il resto del gregge. Che è composto dalla massa dei penultimi, della buona gente che in altri tempi trovava considerazione nella società, nella chiesa speranza e rifugio, mentre adesso scopre disprezzo e irrisione. Siamo considerati la serie B dell’umanità, distanti dalle luci dei grandi, indegni di attenzione, sfruttati, disprezzati. Figli di un Dio minore: per il figlio fedele il padre non uccise il vitello grasso come per il figliol prodigo. Non ci si stupisca se abbandona la casa del padre, che non è più la sua.
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