CE LO INSEGNA SANTA CATERINA DA SIENA: PREGHIERA, PENITENZA, IMMOLAZIONE… NON CHIACCHIERE VUOTE NÉ CRITICHE STERILI
«Intanto, benché non avesse ancora trentatré anni, lei era distrutta dalla fatica e dalla passione. Sapeva di dover offrire soprattutto sé stessa.
Pregava:
O Dio eterno, ricevi il sacrifizio della mia vita in questo corpo mistico della Santa Chiesa. Io non ho che da dare altro se non quello che tu hai dato a me. Tolli il mio cuore dunque e premilo sopra la faccia di questa Sposa (Lettera 371).
Durante la quaresima del 1380, benché quasi non potesse più camminare, fece il voto di recarsi ogni giorno a S. Pietro. Scrive al suo confessore:
Quante necessità vediamo nella Santa Chiesa che in tutto la vediamo rimasta sola.
Per questo ogni mattina va a fare compagnia allo Sposo, anch’Egli abbandonato, anche se è così sfinita che devono sostenerla lungo la strada. Dice:
Con questi ed altri modi che non posso narrare si consuma e distilla la vita mia in questa dolce Sposa, io per questa via e i gloriosi martiri col sangue.
Sa che sta sperimentando un vero martirio. E quell’ultimo faticosissimo pellegrinaggio quotidiano è ormai un simbolo: quando giunge nella Basilica che rappresenta il cuore della cristianità, ogni mattina si ferma davanti al mosaico disegnato da Giotto (che allora era al centro sul frontone del porticato), che raffigura la scena evangelica della navicella sbattuta dalle onde in tempesta, simbolo della Chiesa che sembra sì andare alla deriva, ma che nulla può sommergere. Era un’immagine che piaceva molto a Caterina: spesso aveva scritto nelle sue lettere: «pigliate la navicella della Santa Chiesa» (Lettera 357).
Così anche descrive sinteticamente, con una impressionante forza espressiva, quegli ultimi giorni della sua vita:
Quando egli è l’ora della terza, e io mi levo dalla messa, e voi vedreste andare una morta a S. Pietro; ed entro di nuovo a lavorare nella navicella della Santa Chiesa. Ine me ne sto così infino presso all’ora del vespero e di quello luogo non vorrei a uscire né dì né notte, infino che io non veggo un poco fermato e stabilito questo popolo col Padre loro. Questo corpo sta senza veruno cibo, eziandio senza una gocciola d’acqua, con tanti dolci tormenti corporali, quanto io portassi mai per veruno tempo: intanto che per uno pelo ci sta la vita mia. Ora non so quello che la divina Bontà si vorrà fare di me, ma quanto al sentimento corporale, mi pare che questo tempo io il debba confermare con un nuovo martirio nella dolcezza dell’anima mia, cioè nella Santa Chiesa: poi, forse che mi farà resuscitare con Lui; porrà fine e termine sì alle mie miserie e sì a’ crociati desiderii… Ho pregato e prego la sua misericordia che compia la sua volontà in me… (Lettera 373).
Così Caterina passò la sua ultima quaresima: soffrendo assieme a quella Chiesa che chiama «dolcezza dell’anima mia» e aspettando, assieme a lei, il dono della Resurrezione.
Non riuscì a completare il suo voto; la terza domenica di quaresima si accasciò davanti al Mosaico, mentre s’era fermata lì in preghiera; LE SEMBRÒ — disse — CHE TUTTO IL PESO DI QUELLA NAVICELLA E DEI PECCATI CHE PORTAVA FOSSE ADDOSSATO SULLE SUE FRAGILI SPALLE (…)».
(Tratto da: A. Sicari, Nuovi ritratti di Santi, Jaca Book, Milano 2016, pp. 23-24).
CE LO INSEGNA SANTA CATERINA DA SIENA: PREGHIERA, PENITENZA, IMMOLAZIONE… NON CHIACCHIERE VUOTE NÉ CRITICHE STERILI
«Intanto, benché non avesse ancora trentatré anni, lei era distrutta dalla fatica e dalla passione. Sapeva di dover offrire soprattutto sé stessa.
Pregava:
O Dio eterno, ricevi il sacrifizio della mia vita in questo corpo mistico della Santa Chiesa. Io non ho che da dare altro se non quello che tu hai dato a me. Tolli il mio cuore dunque e premilo sopra la faccia di questa Sposa (Lettera 371).
Durante la quaresima del 1380, benché quasi non potesse più camminare, fece il voto di recarsi ogni giorno a S. Pietro. Scrive al suo confessore:
Quante necessità vediamo nella Santa Chiesa che in tutto la vediamo rimasta sola.
Per questo ogni mattina va a fare compagnia allo Sposo, anch’Egli abbandonato, anche se è così sfinita che devono sostenerla lungo la strada. Dice:
Con questi ed altri modi che non posso narrare si consuma e distilla la vita mia in questa dolce Sposa, io per questa via e i gloriosi martiri col sangue.
Sa che sta sperimentando un vero martirio. E quell’ultimo faticosissimo pellegrinaggio quotidiano è ormai un simbolo: quando giunge nella Basilica che rappresenta il cuore della cristianità, ogni mattina si ferma davanti al mosaico disegnato da Giotto (che allora era al centro sul frontone del porticato), che raffigura la scena evangelica della navicella sbattuta dalle onde in tempesta, simbolo della Chiesa che sembra sì andare alla deriva, ma che nulla può sommergere. Era un’immagine che piaceva molto a Caterina: spesso aveva scritto nelle sue lettere: «pigliate la navicella della Santa Chiesa» (Lettera 357).
Così anche descrive sinteticamente, con una impressionante forza espressiva, quegli ultimi giorni della sua vita:
Quando egli è l’ora della terza, e io mi levo dalla messa, e voi vedreste andare una morta a S. Pietro; ed entro di nuovo a lavorare nella navicella della Santa Chiesa. Ine me ne sto così infino presso all’ora del vespero e di quello luogo non vorrei a uscire né dì né notte, infino che io non veggo un poco fermato e stabilito questo popolo col Padre loro. Questo corpo sta senza veruno cibo, eziandio senza una gocciola d’acqua, con tanti dolci tormenti corporali, quanto io portassi mai per veruno tempo: intanto che per uno pelo ci sta la vita mia. Ora non so quello che la divina Bontà si vorrà fare di me, ma quanto al sentimento corporale, mi pare che questo tempo io il debba confermare con un nuovo martirio nella dolcezza dell’anima mia, cioè nella Santa Chiesa: poi, forse che mi farà resuscitare con Lui; porrà fine e termine sì alle mie miserie e sì a’ crociati desiderii… Ho pregato e prego la sua misericordia che compia la sua volontà in me… (Lettera 373).
Così Caterina passò la sua ultima quaresima: soffrendo assieme a quella Chiesa che chiama «dolcezza dell’anima mia» e aspettando, assieme a lei, il dono della Resurrezione.
Non riuscì a completare il suo voto; la terza domenica di quaresima si accasciò davanti al Mosaico, mentre s’era fermata lì in preghiera; LE SEMBRÒ — disse — CHE TUTTO IL PESO DI QUELLA NAVICELLA E DEI PECCATI CHE PORTAVA FOSSE ADDOSSATO SULLE SUE FRAGILI SPALLE (…)».
(Tratto da: A. Sicari, Nuovi ritratti di Santi, Jaca Book, Milano 2016, pp. 23-24).
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